Joy Davidman si trovò con la sua prospettiva atea del mondo distrutta dal bombardamento di Hiroshima e Nagasaki. Quando gli Stati Uniti bombardarono Hiroshima e Nagasaki settant’anni fa, Joy Davidman (meglio conosciuta oggi come la moglie di C. S. Lewis) era in uno stato vulnerabile.
Incinta di quasi sei mesi con il suo secondo figlio, viveva a Ossining, New York, con il suo bambino e suo marito, l’inquieto novellista William (Bill) Lindsay Gresham. Nata ebrea e cresciuta nel Bronx, Joy è stata atea fin da bambina, e diventò una tesserata del Partito comunista a circa vent’anni.
Ma la maternità, e il trasloco verso la periferia la isolò dalle sue amiche, mandandola alla deriva dal partito e finendo bruscamente quella che era una carriera di successo a Ney York City come poetessa premiata, editrice, e critica di film per la rivista comunista New Masses (nuove masse).
Quando le bombe atomiche caddero nell’agosto del 1945, forzandola a pensare alla mortalità, Joy si rese conto all’improvviso che la civiltà può essere istantaneamente obliterata.
Ella stava portando alla luce un secondo figlio in un mondo dove, come scrisse in una poesia, “ceneri come bambini / soffiano tra gli alberi di bambù. La scienza potrebbe non essere la salvezza della società, come ha creduto per molto tempo; invece, potrebbe essere la condanna del mondo.
Con la distruzione del Giappone, scrisse sulla rivista Time giorni dopo riflettendo sulla sua visione sconvolta del mondo, “[L’umanità] ha appena ottenuto la più Prometea delle conquiste sulla natura, e ha messo nelle mani dell’uomo comune il fuoco e il potere del sole stesso.
In un istante, senza avvertimento, il presente è diventato quel futuro inimmaginabile. C’era speranza in quel futuro? E se così, dove si trovava?” L’orrore, l’ansia, e una disperazione esistenziale si strinsero nella mente di Joy.
Durante i mesi successivi, la paura per la bomba atomica, la depressione post parto, e un marito instabile resero Joy fisicamente e mentalmente esausta. Un giorno feriale durante la primavera del 1946, il telefono squillò: era Bill, che chiamava dal suo ufficio in Manhattan in panico.
“Sto avendo una crisi nervosa”, le disse. La sua mente sta per partire, e lui si sentiva paralizzato. Non poteva restare dove si trovava e non poteva tornare a casa. Poi riagganciò.
Joy strinse forte il telefono: Bill aveva un passato pieno di tentativi di suicidio. Ella provò immediatamente a richiamarlo, ma non rispose.
Dopo molte altre chiamate, ella pensò a correre verso Manhattan e cercarlo a piedi; ma anche se avesse trovato qualcuno che badasse ai bambini per lei, dove sarebbe andata dopo essere arrivata a Grand Central Station (la grande stazione centrale)?
E cosa sarebbe successo se Bill avesse chiamato di nuovo e lei non fosse stata a casa? E se invece il padre dei suoi bambini non fosse mai tornato?
“Una volta arrivata la sera non c’era niente altro che potessi fare, se non aspettare e vedere se lui tornasse, vivo o morto. Ho messo i bambini a letto e ho aspettato.”
L’atea più sbalordita al mondo
La filosofia di Joy è sempre stata “rigida, e non permetteva nessun pensiero di Dio, di religioni, o di qualsiasi cosa che sia al di fuori di puro materialismo.” Dopo essersi affermata come una donna che credeva di avere tutte le risposte, ora era obbligata ad ammettere la sua impotenza.
“Alla fine, non ero io ‘la padrona del mio destino’ e ‘il capitano della mia anima’.” Joy non aveva mai permesso la sconfitta nella sua vita. Una volta scrisse: “C’è solo una felicità ultima, quella di stare in piedi, e solo una somma tristezza, quella di cadere sulle proprie ginocchia”
Ma, sola nella propria stanza quella notte, tutto cambiò. “Tutte le mie difese, e cioè i muri di arroganza e presunzione e amore egoistico, dietro i quali mi nascondevo da Dio, caddero momentaneamente. E Dio entrò.”
Joy, più tardi, descrisse quest’esperienza così: “C’era una Persona con me nella stanza.. una Persona così reale che tutta la mia vita precedente era un gioco di ombre, a confronto…
L’atea più sbalordita del mondo
La mia percezione di Dio è durata circa mezzo minuto… Quando era finita mi trovai sulle mie ginocchia, che pregavo. Penso di essere stato l’atea più sbalordita del mondo”. Fu un momento di grazia.
Bill tornò, nonostante quelle ore mancanti rimasero un mistero, e la vita normale ricominciò; ma Joy si sentì presa alla sprovvista dalla sua esperienza.
Per tutta la sua vita aveva dato per scontato il suo ateismo; e poi la bomba fece esplodere la sua prospettiva del mondo. “Accade sempre l’imprevisto” ella commentò, “come avvenne a Hiroshima con un’esplosione”.
Joy ora si sentiva sorprendentemente certa che c’era un Dio. Tuttavia, ella desiderava capire, perché non voleva ripetere con la religione lo stesso errore commesso con l’ateismo. “Ho imparato la mia lezione, e stavolta ho guardato prima di saltare, perciò ho iniziato a studiare religione”.
Joy iniziò una ricerca che la consumò per i tre anni successivi, ciò che Bill chiamò “Un corso di studi e dibattito intenso ma non sistematico: storia, filosofia, logica formale, le scritture di almeno mezza dozzina di nazioni, la Bibbia stessa e le sue interpretazioni moderne”.
Questo studio la portò, inevitabilmente, a C. S. Lewis: prima come sua lettrice, poi come sua stimata “amica di penna”, e infine, come sua improbabile moglie, con quella che diventò una delle storie d’amore più grandi del ventesimo secolo.
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