smettete di essere meschini con voi stessi

Ho un ritratto di me stessa a quattro anni, appeso al muro del mio studio a casa. Si tratta di un vecchio ritratto colorato a mano e la bambina nella foto ha dei riccioli lucidi e perfetti, sormontati da un grande fiocco turchese.

Quella era una bambina di cui sua madre si prendeva cura perfettamente ed io ho messo il ritratto in una posizione in cui posso vederlo ogni giorno e ricordarmi di lei.

Mi ricordo del giorno in cui è stata scattata la foto. Mi sono seduta nervosamente nello studio, preoccupata di come sorridere nel modo giusto.

Preoccupata a quattro anni, perché volevo fare tutto per bene! Ma mia madre era lì per rassicurarmi e tutto andava sempre nel modo giusto, in qualunque luogo ella si trovasse.

Tuttavia, c’è anche un bonus ad avere la foto di me, a quattro anni, sul muro accanto a dove scrivo, perché essa mi ferma ogni volta che sono tentata di disprezzarmi. Sono ancora la ragazza che vuole fare tutto per bene e che soffre quando non vivo secondo i miei standard impossibili.

E’ così facile, per gli uomini e le donne che siamo naturalmente, piangere sulle proprie debolezze, disperarsi perché non possiamo eccellere di più, agitarsi a causa delle nostre mancanze che, dobbiamo ammettere, sono molte.

E’ facile trovare una scusa per la nostra anima, per quello che non siamo ancora diventati.

Oh, quanto sarebbe confortante essere lodevoli e virtuosi in ogni modo possibile. Ed ecco che qui entra in gioco la foto di quella bambina che ero io.

Quando sono tentata di criticare me stessa o di rimproverarmi per i miei difetti, mi fermo, la guardo e mi dico: “Stai davvero pensando di essere cattiva con quella bambina, che siede speranzosa su quel muro? Merita davvero la tua antipatia, i tuoi standard irraggiungibili o i tuoi rimproveri? La faresti piangere davvero?”.

Oh, no, non farei mai questo a quella bambina o a qualsiasi altra. Ma quella bambina sono io. La speranza dei miei quattro anni mi ha insegnato l’autocompassione.

Poiché io non voglio essere cattiva con lei, non sono più così critica con me, ovvero con la versione cresciuta di quella bambina che lavora in questo ufficio ogni giorno.

Alcuni di noi scrivono i propositi per il nuovo anno ed alcuni di noi non lo fanno, ma qualunque sia il modo in cui determiniamo come affrontare l’anno nuovo, lasciatemi chiarire una cosa: stiamo compiendo un viaggio mortale e difficile, arduo, pieno di insidie e sorprese che ci mettono alla prova fino al limite.

Abbiamo nella nostra mente una visione di ciò che potremmo essere, ma le nostre aspirazioni raramente combaciano con le nostre realtà.

Troppo spesso, ci giudichiamo paragonandoci a degli standard che solo un angelo potrebbe soddisfare. Ci aspettiamo di essere un prodotto finito, mentre siamo ancora nella scuola formativa del nostro apprendimento. Interpretiamo il comandamento “Voi dunque siate perfetti” come se fosse un comando di perfezionismo ed, in questo modo, esso diventa una formula sicura per lo scoraggiamento.

Quando il Signore ci ha detto di essere perfetti, intendeva che fossimo un tutt’uno. Questa parola indica il punto di arrivo di un processo e questo processo riguarda il lavoro che compie l’espiazione su di noi e essa quanto ci rafforzi. In questo viaggio camminiamo, inciampiamo, cadiamo, cambiamo e ci riproviamo.

E’ un processo che non ci manda in corto circuito. Impariamo perché gustiamo anche l’amaro del nostro essere e, poi, cambiamo tramite le nuove conoscenze acquisite.

Dobbiamo essere pazienti durante il nostro cammino. E’ come quando un genitore parte per una vacanza con la famiglia e sente il proprio bambino chiedere un centinaio di volte:

“Non siamo ancora arrivati? Non siamo ancora arrivati?”. Nessuno di noi è ancora arrivato. Non siamo arrivati alla presenza del Signore. Non abbiamo ancora acquisito i Suoi attributi. Essi sono ancora in forma embrionale dentro di noi.

Invece dobbiamo dire: “Sto compiendo un viaggio di migliaia e migliaia di passi. Sto imparando. Sto crescendo, ma non sono ancora arrivato. Posso essere in accordo con tutto questo.”

L’autocompassione è un tratto spirituale di fondamentale importanza. Non è solo verso il bambino che una volta eravamo che dovremmo avere compassione, ma anche verso tutte le versioni precedenti di noi stessi.

Così come non sgrideremmo un bambino che sta imparando a camminare perché non sa ancora ballare, non dovremmo disprezzare o essere spietati con le nostre versioni precedenti, sia che si tratti della versione dello scorso anno che di quella di pochi minuti fa.

A volte mio marito dice: “Non essere meschina con la ragazza che eri l’anno scorso. Io la amo.”

Non possiamo criticare noi stessi perchè ieri non avevamo la conoscenza di oggi. Non sapevamo allora quello che sappiamo ora e, quelli di noi che stanno cercando di vivere le proprie alleanze, di solito fanno il meglio che possono. Non possiamo criticare noi stessi perché ieri non avevamo la forza che abbiamo ora.

Siamo rimasti in piedi con la fede e con il Signore, per superare le nostre debolezze e i problemi che ci hanno dato la resistenza che abbiamo oggi.

Non possiamo criticare noi stessi perché ieri non vedevamo quello che vediamo ora. Il Signore sta espandendo la nostra visione. Domani vedremo ancora più lontano.

Dobbiamo essere più rapidi nel perdonare noi stessi per le follie di ieri e le debolezze di oggi. Quando pensiamo a quali siano le qualità che vogliamo sviluppare per il futuro, dobbiamo mettere l’autocompassione in tale elenco. E c’è una buona ragione per farlo.

Il fatto è che quando giudichiamo noi stessi, un’ombra entra nella nostra anima. L’autocritica e l’autocoscienza sono solo altre parole per”l’autoassorbimento”.

Essere meschini con se stessi occupa una parte della propria mente e del proprio cuore che, quindi, non possono essere dedicati ad altre persone o impiegati in attività produttive. La mortalità è un’esperienza lineare dove possiamo avere solo una cosa alla volta in mente.

Anche se passiamo da una cosa all’altra in continuazione, solo un unico soggetto può dominare i nostri pensieri in un dato momento. Se si tratta di noi stessi e delle nostre mancanze, certamente non possono essere gli altri e le loro esigenze.

Quando il Signore dice “ama il prossimo tuo come te stesso” indica un mondo di idee in sette brevi parole (Marco 12:31).

La compassione per gli altri inizia con la compassione per noi stessi. Impariamo l’atto di amare quando siamo disposti ad accettare con amore e perdono il “noi” vulnerabile e fragile. Disdegnando noi stessi, restiamo legati alla ricerca di amore, invece che al darlo. Il buio entra nella nostra anima.

Forse pensiamo che condannare noi stessi per la nostra debolezza sia una cosa divina da fare. Potremmo supporre che disprezzare noi stessi per la nostra debolezza ci avvicini a Lui.

Questo non è vero. La voce del Signore non è mai una condanna. “Neppure io ti condanno” ha detto alla donna colta in adulterio (Giovanni 8,11). Ed Egli dice lo stesso anche a noi.

Fino a quando non ci ribelliamo consapevolmente contro di Lui e i Suoi comandamenti, Egli non ci condanna, ci incoraggia, ci solleva e dipinge una visione più grande per noi, garantita dal Suo amore.

Egli ama la versione di noi stessi che siamo in questo momento, continuando a vedere sempre la persona migliore che diventeremo.

Quale grande amico che abbiamo in Gesù.

Potete sentire l’ombra nella vostra anima quando vi disdegnate da soli. Il Signore dice: “E se il vostro occhio è rivolto unicamente alla mia gloria, tutto il vostro corpo sarà pieno di luce” (DeA 88:67).

L’ombra che porta l’autodisprezzo non viene da Lui. Quest’anno decidete di essere autocompassionevoli.

Questo articolo è stato scritto da Maurine Proctor e pubblicato sul sito ldsmag.com. Questo articolo è stato tradotto da Cinzia Galasso.

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Cinzia

Cinzia è un'impiegata ed una traduttrice. Ha una laurea in Scienze dell'Educazione e ha anche insegnato, per un paio di anni, a bambini della scuola materna, un lavoro che ha amato molto. E' stata un'insegnante nelle classi della Società di Soccorso, delle Giovani Donne e dell'Istituto. Ha molti interessi: patchwork, quilling, oli essenziali. Le piace prendersi cura di sè con soluzioni naturali. E' vegana e ama gli animali e la natura ed è fermamente convinta che le creazioni di Dio siano sacre. E' una volontaria dell'ENPA, un'associazione italiana, per la protezione degli animali ed è anche un membro di Greenpeace e del WWF. Ama passare il tempo con la sua famiglia e i suoi amici. Ama il vangelo di Gesù Cristo e sa che le famiglie sono eterne.

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