Quando una persona viene battezzata, Dio è costretto a dargli automaticamente il perdono anche quei peccati di cui non ci si è pentiti?
O tutti vengono fuori dal fonte battesimale con alcuni peccati non perdonati? Il battesimo è veramente una carta unica, come l’”uscire di prigione” del Monopoli? E come funziona esattamente?
Il battesimo garantisce automaticamente il perdono?
Come il sacramento e le ordinanze del tempio, il battesimo è un rito in cui recitiamo un ruolo per imparare la nostra parte nella vita.
Nel suo cuore centrale, esso è un’opera raffigurante la morte e la rinascita (qualcosa a cui pensare in questa stagione fredda durante la quale “l’anno muore nella notte, risuonano campane selvagge e lasciate che muoia”, solo per dare il benvenuto al nuovo anno appena nato con tutta la sua speranza).
Paolo ci dice che quando siamo nella fase dell’immersione “…siamo battezzati in Cristo Gesù, siamo battezzati nella sua morte… Perché se siamo totalmente uniti a Lui in una morte simile alla Sua, lo saremo anche in una risurrezione simile alla Sua” (Romani 6:3,5).
Entriamo in acqua recitando la parte di Cristo. Nessun altro personaggio riesce ad uscire dal primo atto. Prima di Cristo, la morte era la fine della vita.
Adamo, Noè, Abramo, Isaia ed altri giusti come loro, entrarono nella tomba e là rimasero. Se volessimo rappresentare quel momento, la nostra opera metterebbe in scena un attore che viene immerso nell’acqua e resta lì.
E nessuno reciterebbe in un ruolo del genere! Quindi, invece, noi recitiamo la parte impersonando Cristo. Il suo personaggio è deposto nella tomba dell’acqua e si rialza trionfalmente!
Essendo un’ordinanza, questo piccolo dramma ci mostra la parte dell’alleanza che riguarda la benedizione: come Cristo fu sollevato dalla tomba con un corpo celeste, così anche noi sorgeremo la mattina della prima risurrezione nella gloria!
Ritornando a Paolo scopriamo che, mentre la prima va avanti, sotto i nostri occhi si sta svolgendo un’altra recita. In questa seconda rappresentazione, interpretiamo il ruolo di un vecchio schiavo.
“Voi… eravate gli schiavi del peccato” (Romani 6:20) dice “avete ceduto alla schiavitù dell’impurità e dell’ingiustizia fino all’iniquità” (Romani 6:19).
In questa opera non è la tomba al centro, ma la morte lo è certamente. Il vecchio schiavo viene crocifisso.
Lo potremmo sentire qui lamentarsi della qualità della produzione: l’acqua è un sostituto di una tomba di terra ed un sostituto ancora più povero di una croce.
Eppure Paolo lo vede perfettamente nella scena e lo descrive per il pubblico.
Il “vecchio uomo è crocifisso con Cristo, affinché il corpo del peccato possa essere distrutto, che d’ora in poi non dovremo servire il peccato” e felicemente “colui che è morto è liberato dal peccato” (Romani 6,6-7).
In effetti il primo atto termina con il peccato padrone che paga doverosamente il suo schiavo: “il salario del peccato è la morte” (Romani 6:23).
Il secondo atto si apre e ci viene presentato un nuovo maestro (il peccato non viene più ripreso in questa versione della storia).
Il personaggio che interpretiamo è ora schiavo di Dio e della sua famiglia di giustizia.
“Essendo quindi liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia” e le condizioni sono molto migliori. Come “servi di Dio, avete il vostro frutto della santità e il vostro destino è la vita eterna” (Romani 6:18,22).
Ancora una volta, come parte di un’ordinanza, questo dramma ci mostra gli obblighi che assumiamo nella nostra parte del patto.
Come affermato chiaramente nella preghiera sacramentale: “siamo disposti a prendere su di noi il nome di Cristo” accettandolo come nostro Maestro, con la clausola che “osserviamo i Suoi comandamenti che ci ha dato” (Dottrina e Alleanze 20:77).
Nefi ci introduce in un’altra opera. In questa riprendiamo il ruolo di Cristo, ma con una nuova interpretazione del personaggio.
Dove prima abbiamo interpretato il ruolo di Cristo trionfante alla fine del Suo ministero e come Maestro della morte, ora interpretiamo un Gesù umile che è obbediente alla volontà di Suo Padre.
È anche meglio di così, è una recita in una recita, quindi vi ritrovate a recitare come Gesù. I
l nostro Gesù “mostra ai figlioli degli uomini che, secondo la carne, si umilia davanti al Padre e testimonia al Padre che gli sarà obbediente nell’osservare i suoi comandamenti” (2 Nefi 31:7).
Recitando sullo stesso tema, voi (come personaggi in questa commedia) recitate il vostro ruolo di seguire Cristo venendo battezzati.
“Seguimi e fai le cose che mi hai visto fare” disse Gesù a Nefi e Nefi sottolinea “possiamo seguire Gesù se non siamo disposti a osservare i comandamenti del Padre?” incluso il battesimo (2 Nefi 31:10,12).
In pratica, siamo discepoli di Cristo. Come nostra parte del patto dell’ordinanza, promettiamo di “ricordarLo” e seguirLo.
Giovanni ha un approccio artistico e lo fa diventare una trilogia. È un semplice dramma di nascita in cui recitiamo come bambini cresciuti (vi ho detto che è un approccio artistico).
Il personaggio deve “rinascere”, quindi entra nel grembo acquoso come parte dell’essere “nato dall’acqua e dallo Spirito”. Le tende si chiudono quando il personaggio “vede il regno di Dio” (Giovanni 3:3-5).
Lo Spirito arriva come parte del sequel. Il Signore ci ha spiegato le tre parti di questa storia (noi ne recitiamo solo una).
Noi “siamo nati nel mondo dall’acqua e sangue e spirito… e così… siamo diventati un’anima vivente.
Dobbiamo nascere di nuovo nel regno dei cieli, dell’acqua e dello Spirito ed essere purificati dal sangue, anche il sangue dell’Unigenito” (Mosè 6:59-60).
Come ordinanza, quest’opera ci mostra l’alleanza fatta con Dio che ci da’ il Suo Spirito e noi facciamo alleanza che applicheremo il sangue espiatorio di Gesù Cristo.
Dio ha comandato che tutti i Suoi figli responsabili andassero sul palcoscenico e recitassero in questo dramma, ma dovremmo essere abbastanza sensibili da riconoscere che questa è un’opera teatrale o forse più propriamente è una recita.
Una recita che, sebbene utile per prepararsi ai fatti reali, non è la realtà. Se entriamo nell’ospedale di Dio e lo informiamo:
“Non sono un dottore, ma ne interpreto uno in TV”, il meglio che possiamo sperare è di essere ammessi come pazienti; sarebbe ridicolo pensare che meritiamo una posizione amministrativa.
Quindi dobbiamo interiorizzare la morale di queste storie. Dobbiamo smettere di servire il peccato.
Dobbiamo servire Dio e la giustizia. Dobbiamo seguire Cristo. Dobbiamo obbedire al Padre. Dobbiamo assolutamente essere purificati dal sangue di Cristo. Nefi lo spiega meglio.
Noi “non siamo arrivati così lontano [alla porta del battesimo] se non fosse tramite la parola di Cristo, con fede incrollabile in lui, affidandoci interamente ai meriti di colui che è potente e può salvare.
Pertanto, dobbiamo andare avanti [dopo il battesimo] con fermezza in Cristo, avendo un perfetto splendore di speranza ed amore per Dio e per tutti gli uomini” (2 Nefi 31:19-20).
Ci siamo preparati per il ruolo che abbiamo svolto nei nostri battesimi ed ora dobbiamo continuare a farlo per diventare ciò che abbiamo finto di essere.
Il battesimo non è una sorta di carta per “uscire di prigione”.
Non ha senso, senza i prerequisiti necessari: bisogna:
“Umiliarsi dinanzi a Dio e desiderare di essere battezzati e venire avanti con cuori spezzati e spiriti contriti e testimoniare davanti alla chiesa che si è davvero pentiti di tutti i peccati e si è disposti a prendere su di sé il nome di Gesù Cristo, avendo la determinazione di servirlo fino alla fine e manifestare veramente con le opere di aver ricevuto lo Spirito di Cristo fino alla remissione dei peccati” (DeA 20:37).
Al momento del battesimo, ma anche dopo, i principi di giustificazione e santificazione sono all’opera per tutti i peccati di cui ci si è pienamente pentiti (interiorizzando l’obbedienza al nuovo maestro) e per tutti i peccati che vengono superati (interiorizzando la rinascita).
Come hai notato, il battesimo non garantisce automaticamente il perdono e avviene una sola volta per noi, così il Signore ci ha misericordiosamente dato un’altra opera in cui recitare ogni settimana, dove riprendiamo il nostro ruolo di discepolo alla tavola del Signore.
In questa ordinanza rinnoviamo le nostre alleanze (vedere Il sacramento – Un rinnovamento per l’anima, di Cheryl A. Esplin, Conferenza generale di ottobre 2014) e l’introspezione su chi dovremmo essere: “Chi è? Sarò io, mio Signore?”.
Questo articolo è stato pubblicato sul sito askgramps.org ed è stato tradotto da Cinzia Galasso
Cinzia
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